Prima dell’avvento della pandemia, erano veramente poche le realtà imprenditoriali che già utilizzavano lo smart working. Anzi, molte piccole e medie imprese non sapevano nemmeno che volesse dire questo ennesimo “vocabolo inglese”. Poi, con l’emergenza sanitaria, c’è stata una rivoluzione improvvisa e impensabile nel mondo del lavoro.
Come spesso accade, la crisi porta in eredità qualche elemento di crescita e, certamente, di cambiamento. Così è stato con il lockdown, cha ha messo le aziende nella condizione di “rivedere gli spazi”.
Inizialmente organizzato in maniera “affollata” e improvvisata, – dal momento che ci siamo illusi di poter trasferire l’ufficio dallo studio a casa – il lavoro smart, in questi due anni, è stato riorganizzato e disciplinato, diventando “smart” davvero.
Riportiamo, oggi, la nostra testimonianza diretta e in diretta del lavoro intelligente.
Studio Pieri e smart working: Valentina ci racconta
Ciao Valentina! Raccontaci la tua scelta ed esperienza di smart working. Da quando hai iniziato a optare per questa modalità di lavoro?
Il primo approccio allo smart working è stato, come per tanti, in periodo di pandemia per far fronte alle svariate situazioni di mamma con figli in età scolastica. Si è poi trasformata in una modalità di lavoro costante nel periodo estivo, con la fine della scuola appunto.
Domanda quasi d’obbligo: quali sono i principali vantaggi del lavoro smart?
Indubbiamente, da mamma, il principale vantaggio è quello di conciliare il lavoro con l’assistenza ai figli. Grazie allo smart working ho avuto la possibilità di non ricorrere a permessi o congedi, né a centri estivi o baby sitter.
Quanto incide lo smart working sulla produttività?
Abbastanza direi. Per la mia esperienza e, soprattutto, per le ragioni che mi hanno portato a questa modalità di lavoro, il tempo lavorativo in smart working si allunga. Quello che in ufficio è concentrato in 4 ore di lavoro, da casa il lavoro è risultato spesso frammentato e, quindi, svolto in maggior tempo per garantire un’eguale resa.
In quali modi lo Studio Pieri ha implementato lo smart working?
Dal momento che abbiamo fatto maggior ricorso allo smart working, lo Studio ha deciso di implementare i programmi solitamente utilizzati in ufficio con strumenti ad hoc per il lavoro da remoto, quali un centralino condiviso, nonché sistemi di archiviazione e gestione pratiche in telematico. L’obiettivo, avendo ormai intrapreso questo percorso, è quello mantenere e ottimizzare tali strumenti anche nella quotidianità lavorativa d’ufficio.
Come riesci conciliare (o separare) vita privata e lavoro, laddove la casa diviene anche ufficio?
Non è sempre facile. Innanzitutto, ritagliando uno spazio fisico dove posizionare il pc, che può sembrare banale, ma che mi ha aiutato nell’organizzazione del lavoro. In secondo luogo, mantenendo il più possibile l’orario di lavoro d’ufficio, seppur non sempre le mie mansioni lo richiedono, ma questo mi è servito a distinguere il tempo del lavoro da quello per la casa. Poi ho dovuto fare i conti con le interferenze dei figli, però….
Quali abilità deve possedere uno smart worker?
Molto dipende dal tipo di attività lavorativa. La mia, nello specifico, si presta abbastanza bene ad essere svolta anche in smart working; è sufficiente riorganizzarsi in tal senso. L’aspetto che richiede maggiore abilità credo sia proprio quello di riuscire comunque a tenere separato il tempo per il lavoro da tutto il resto, cosa non così scontata lavorando in un ambiente familiare come casa propria.
Secondo te, tra datore di lavoro e collaboratore, a chi spetta di decidere se avviare, o meno, una prestazione di lavoro da remoto?
Tecnicamente spetta al datore di lavoro, in base alle proprie scelte di organizzazione aziendale. Nel mio caso, ammetto che è stata una mia richiesta per fronteggiare un cambiamento nell’organizzazione familiare, per cui altrimenti in estate avrei avuto “scoperti” i figli. Credo, quindi, che possa essere frutto di un accordo tra le parti, tenendo conto delle esigenze personali del collaboratore ma nel rispetto degli obiettivi organizzativi e produttivi del datore di lavoro.
Pensando al futuro, dobbiamo immaginarci un mondo con una piena smaterializzazione del lavoro?
Mi auguro di no! Tuttavia è innegabile che lo smart working “agevolato” nel periodo di pandemia abbia aperto la strada a questa modalità di lavoro, che senza dubbio può essere uno strumento utile per conciliare lavoro e vita privata (soprattutto delle mamme, diciamoci la verità!). Però credo anche che vada utilizzato in maniera intelligente, senza perdere del tutto l’approccio personale al lavoro.
Abbiamo parlato dei vantaggi dello smart working. Per quella che è la tua esperienza, quali sono i limiti riscontrati?
Inizialmente, ho trovato qualche difficoltà a cambiare sistema di archiviazione (forse perché sono amante del cartaceo!). Un altro limite è la mancanza di confronto diretto con la titolare alla quale ero abituata e che una telefonata o una videoconferenza, a mio avviso, non sopperiscono.
Com’è composto il perfetto kit dello smart worker?
– Una buona connessione internet è indispensabile;
– Strumentazione informatica (pc, smartphone…);
– Programmi funzionali al lavoro da remoto (centralino, archiviazione telematica, sistemi di condivisione files con lo Studio…);
– Dialogo e collaborazione con titolare e/o colleghi;
– Una buona dose di pazienza e self-control se si lavora in smart working con i figli a casa!
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