Il 25 Novembre è la Giornata Internazionale per l’eliminazione della Violenza contro le Donne (questo il suo nome completo)
In questo stesso giorno del 1960, furono uccise le tre sorelle Mirabal, attiviste politiche della Repubblica Dominicana. È una data importante, per ricordare a tutti che il rispetto è alla base di ogni rapporto (uomo/donna, marito/moglie, datore di lavoro/dipendente, madre/figlio, nipote/nonna, professore/studentessa, vicino di casa/vicina di casa, collega di lavoro/collega di lavoro) e che non possiamo continuare a veder crescere il numero delle donne che subiscono violenza.
In Italia e nel mondo subisce violenza, mediamente, una donna su tre. Il timore della violenza è confermato dal dato secondo il quale il 53% di donne in tutta l’Unione Europea afferma di evitare determinati luoghi o situazioni per paura di essere aggredita.
La violenza sulle donne ha molti volti: reati come la violenza fisica o quella sessuale, lo stupro, senza dimenticare la violenza psicologica. Talvolta, fin troppo spesso, anche tutto, – tutto insieme.
L’Italia, inoltre, non sembra essere un paese per mamme (e donne) lavoratrici: l’anno scorso sono state quasi 25 mila le donne che hanno dovuto dare le dimissioni volontarie, dichiarando che il motivo principale è l’incompatibilità tra il ruolo di mamma e quello di lavoratrice.
“Che senso ha fare figli se poi li lasci tutto il giorno all’asilo o sempre con la tata?”
“Come mai i tuoi figli si ammalano sempre di venerdì?”
“Ti potremmo offrire un contratto a tempo indeterminato, purché tu ci garantisca di non fare figli per almeno cinque anni”
“Chissà con quel bel culo che carriera farai…!”
“Domani incontro con un nuovo cliente: mettiti bella scollata!”
“Mica le puoi fare tutte: devi scegliere se fare la mamma, o fare carriera”
“Non è che potresti trattenersi qualche ora in più? Non hai nessuno che ti possa andare a prendere i figli? Dai, prova a fare una telefonatina a qualcuno…!”
“Ma come mai sei sempre stanca? Da quando sei mamma, sei meno produttiva”
“Ti sei riposata, eh! Cinque mesi a casa….pagata!”
“Ti vedo un po’ ingrassata: non è che adesso mi stai a casa un altro anno?”
“Ma lascialo con nonni, no? Tanto loro sono in pensione e non hanno niente da fare…”
L’elenco delle frasi sciocche che le donne lavoratrici si sentono dire sul posto di lavoro, soprattutto in concomitanza ad una gravidanza, è molto lungo. Lungo almeno quanto quello delle ingiustizie che sono costrette a subire. (Inutile ricordarvi che, anche questa, è violenza contro le donne. Anche se non sembra, lo è).
Che cosa possiamo fare, allora?
Per prima cosa, ci dobbiamo tutti sensibilizzare maggiormente su ciò che riguarda il rispetto della donna, in qualsiasi luogo o ruolo questa si trovi. La prevenzione, – e questo vale più o meno per tutte le cose – resta sempre l’arma migliore.
Poi, possiamo e dobbiamo informarci maggiormente. Sì, perché l’informazione è non di meno importante.
Ad esempio, quanto ne sapete dei D.lgs. n. 80/2015?
- Il decreto legislativo 80/2015, nel suo articolo n. 24, sancisce che le donne che hanno un rapporto di lavoro in corso e che siano inserite in percorsi certificati dai servizi sociali del comune di appartenenza, o dai centri antiviolenza o dalle case-rifugio, possono fruire di un congedo retribuito per un periodo massimo di 90 giornate lavorative.
Adempimenti in merito:
- Comunicare al datore di lavoro, almeno 7 giorni prima, l’inizio del congedo, specificandone anche la data del termine.
- Consegnare al datore di lavoro la certificazione inerente il percorso di protezione.
- Presentare domanda alla sede INPS
Leave a Comment