È in vertiginosa crescita la pet economy legata ai 65 milioni di animali nelle case italiani, la cui umanizzazione ha creato un mondo di beni e servizi parallelo al nostro. La fortuita economia pet non solo potrebbe portare a gloriosi investimenti, ma genera anche una maggiore occupazione.
Il mercato della Pet Economy in Italia
Se oggi Paperon de’ Paperoni dovesse decidere dove investire i suoi fantastiliardi, non avrebbe esitazioni: la Pet Economy. Una famiglia italiana su tre (33%) vive con almeno un animale domestico (cani, gatti, tartarughe, conigli, ecc) per un giro di affari, stimato da Coldiretti (su dati Eurispes), pari a 3,5 miliardi di euro a livello nazionale.
Oltre la metà del valore totale del mercato mondiale è ascrivibile ai prodotti per l’alimentazione, mentre l’altro 45% è rappresentato dal macro-segmento del pet care, che include diversi prodotti e servizi dalle cure medico-veterinarie all’abbigliamento.
Le spese degli italiani per gli amici a quattro zampe continuano a dimostrarsi in crescita; questo, nonostante l’aumento dei prezzi dovuto all’inflazione. Ma a cosa si lega questo inarrestabile trend?
I driver della pet economy
- Umanizzazione degli animali: per la maggior parte delle persone con animali domestici, questi sono parte integrante della famiglia, alla stregua di un figlio. Pertanto, desiderano fornirgli cibo e cure adeguate, garantendo loro non solo benessere fisico, ma anche psicologico. Allo stesso tempo, sempre più famiglie con animali domestici, ne festeggiano il compleanno, oppure seguono la moda (pet fashion), soprattutto quando si tratta di cani. La conseguente maggiore domanda di prodotti di tendenza e di qualità ha portato il settore del lusso ad affermarsi anche all’interno del mondo dei pet.
- Tagli delle spese, ma non per i propri pet: il 64% dichiara che preferisce rinunciare a qualcosa (cinema, ristoranti, abbigliamento, viaggi, ecc) pur di non far mancare nulla al proprio pet. Oltre a questo, il 27% degli intervistati (in base ai dati Swg) prevede di aumentarne le spese nei prossimi 12 mesi.
- Scelta di diete su misura e alimenti premium: una considerevole parte degli intervistati dichiara di scegliere il cibo per i proprio pet in base ai gusti dei propri animali oppure per migliorarne la dieta e la salute. Un 37% sta pensando di pagare di più per cibi di qualità superiore.
Cibo e cure veterinarie al vertice della pet economy. Ma non solo
Conoltre 2 miliardi di euro il pet food ricopre la fetta maggiore dell’interno pet market. Oltre al reale fabbisogno, come abbiamo visto, c’è anche la tendenza a spendere per un cibo di qualità sempre maggiore, ma anche produzione di articoli simili a quelli per gli umani (torte di compleanno, birra per cani, ecc.).
In aumento sono quindi i negozi di cibo specializzato, che vanno sempre più incontro a richieste specifiche dell’animale (cibo proteico, per problemi renali, per problemi gastrointestinali, mono-proteico, per intensa attività fisica, etc.). Cresce l’attenzione agli ingredienti e alle materie prime e, sulla scia di questa consapevolezza alimentare, anche in Italia si iniziano a trovare locali proprio dedicati agli amici a quattro zampe. Un esempio è il Dog’s Bistrot a Milano, che offre un vero e proprio servizio di food delivery per cani. In base alla razza, al peso, all’età e all’attività di ciascun cane, seguendo le indicazioni di una veterinaria nutrizionista, lo chef propone pasti completi a base di ingredienti freschi e sani, tra cui maiale, tacchino, vitello e merluzzo.
Come le persone, anche gli animali ovviamente necessitano di cure. Indice della maggiore attenzione alla salute dei pet sono gli sbalorditivi risultati economici della farmacopea veterinaria. L’esponenziale aumento in questo settore, però, non è dovuto a una maggiore propensione alle malattie da parte degli animali domestici, piuttosto deriva da una medicalizzazione di massa cui questi sono sottoposti. Cosa impensabile qualche anno fa. Oggi agli animali di casa non vengono somministrati solo farmaci per prevenire l’insorgenza delle malattie tipiche delle specie, facilitare le degenze post-operatorie, seguire patologie gravi o curare disturbi cronici (dal diabete all’insufficienza renale); da almeno quindici anni vengono prescritti, secondo molti veterinari con eccessiva generosità, tonnellate di ansiolitici, antidepressivi, contraccettivi o dimagranti.
A quelle veterinarie e alimentari, seguono le spese per:
- Pet fashion (abbigliamento e oggettistica di lusso, anche da parte di grandi case come Fendi o Gucci);
- Pet technology (dispositivi per il monitoraggio della salute degli animali, come monitor o app);
- Pet Care (pet sitting, addestratori, ecc);
- Pet beauty (servizi di toelettatura sempre più specializzati).
Una tendenza che genera maggior occupazione
L’aumentare di tutti i prodotti e servizi legati ai pet, ovviamente, genera anche una maggiore necessità di figure dedicate. In altre parole, aumenta l’offerta di lavoro legata alla pet economy e, parallelamente a questa, anche l’occasione per mettersi in proprio inventandosi qualche servizio che possa intrattenere, curare, abbellire o sfamare gli animali domestici. Quelli che prima potevano essere dei lavori saltuari, come il dog sitter, oggi diventano occupazioni a tutti gli effetti. Si pensi, ad esempio, a coloro che si occupano di toelettatura o erogano servizi di addestramento e pet therapy.
Il settore pet ha poi un vantaggio estremamente raro e importante rispetto ad altri: è a prova di recessione. Poiché gli animali domestici sono considerati spesso parte integrante della famiglia, ricevono le migliori cure possibili anche nei momenti di stagnazione o difficoltà economica. Questo genera conseguenze positive non solo per le aziende, ma soprattutto per i lavoratori e le lavoratrici del settore, che sanno così di far parte di un mercato ben più resiliente di altri, come ha recentemente confermato la pandemia.
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