Non deve più essere il solito femminicidio, ovvero la solita cosa di cui parlano i media. Stavolta, non deve essere osservato il canonico minuto di silenzio, quello che si usa in caso di lutto o tragedie. Dopo l’omicidio di Giulia Cecchettin il silenzio va rotto, bisogna farsi sentire e sentire bene. È indispensabile cambiare tutto.
Perché il femminicidio di Giulia Cecchettin è diverso
Elena Cecchettin (24 anni), sorella di Giulia, ha sorpreso tutti. A differenza dei parenti di molte altre vittime donne, con una forza incredibile, ha trasformato quello che poteva essere un dolorosissimo lutto personale in una vera e propria questione politica. Ha deciso che non voleva essere un’altra vittima davanti ai media. Elena ha preso la parola, il coraggio e la consapevolezza utili per spezzare tutto questo “dare per scontato” e presto dimenticato. Non solo: anche per capire da dove provenga questa violenza antica e fermarla. Ora.
“Filippo non è un mostro, un mostro è un’eccezione, una persona esterna alla società, una persona della quale la società non deve prendersi la responsabilità. E invece qui la responsabilità c’è”.
Qui la responsabilità c’è. Eccome.
Di chi è la colpa?
Intanto, un femminicidio non è mai un fulmine a ciel sereno.
Come anche Elena ci ha riferito, bisogna sapere che i femminicidi sono la punta dell’iceberg di violenze e sopraffazioni che colpiscono milioni di donne di qualsiasi classe sociale e ovunque nel mondo. Questi non sono mai raptus, bensì sono sempre preceduti da abusi fisici e psicologici, tentativi di manipolazione, ricatti, stalking, gaslighting, comportamenti ossessivi e controllanti che possono andare avanti per mesi o anni, e che sono perlopiù tollerati dalla società.
C’è da dire (e va detto!) che molto spesso le ragazze e le donne che chiedono aiuto non sono ascoltate; ciò che riportano viene spesso sminuito, non preso sul serio. E poi succedono le tragedie. Succedono continuamente tragedie.
C’è da dire che nelle scuole di qualsiasi genere e grado si parla, ricorda e studia ciò che è già successo, spesso molti anni prima; non ci si sofferma quasi mai a parlare ed educare rispetto a ciò che sta succedendo. Parlarne, farebbe “restare indietro con il programma”. E invece servirebbe un’educazione sessuale e affettiva capillare.
Tra i colpevoli principali, nei casi di femminicidio, ci sono sempre i genitori. Ed è così: l’educazione a casa è imprescindibile. Bisogna essere autorevoli e non autoritari e, attraverso presenza e coerenza costanti, i genitori devono educare al “no”, all’amore, alla gentilezza e al rispetto. Ma i genitori non sono e non possono essere da soli: per crescere un figlio, occorre un intero villaggio. (cit.)
Occorre un intero villaggio che, tradotto, significa che il governo in auge non può e non deve permettersi di diminuire del 70% i fondi stanziati per la prevenzione della violenza di genere. Per gli interventi di educazione e sensibilizzazione, – che hanno l’obiettivo di scardinare norme e comportamenti sociali che producono e riproducono la violenza – non può e non deve essere destinato solo il 5,6 per cento rispetto al totale dei fondi antiviolenza nel triennio che va dal 2020 al 2023.
Ha ragione Elena Cecchettin: c’è da rifare tutto e il più in fretta possibile.
Leave a Comment