Il lavoro c’è, ma mancano i lavoratori; benché il tasso di disoccupazione in Italia sia ancora piuttosto alto.
Questa la contraddizione con cui si è concluso il 2023. Ma c’è ancora di peggio: la situazione non sembra destinata a migliorare neanche quest’anno. Cosa c’è che non quadra?
Mismatch lavoro
Con questo anglicismo (come già avevamo visto in questo articolo, con riferimento alla regione Toscana), viene definita la mancata corrispondenza della domanda di lavoro, da parte delle imprese, con l’offerta da parte dei lavoratori. Come dicevamo, quindi, il lavoro c’è ma mancano i lavoratori o, meglio, le figure professionali adeguate.
In base a un documento realizzato dal “Sistema Informativo Excelsior” di Unicamere e Anpal, lo scorso anno, il sistema produttivo è rimasto al palo con 5,5 milioni di contratti di lavoro pronti e non utilizzati. Come mai? La scarsa rispondenza dei sistemi scolastici e formativi, la necessità di competenze sempre più tecniche a fronte delle innovazioni (digitale e green, in particolare), la denatalità unita alla “fuga dei cervelli” dall’Italia, – che vede sempre meno giovani affacciarsi alle selezioni. Unito a tutto questo, risultano tutt’altro che superati gli effetti della “Great Resignation”, cioè quella tendenza post pandemia che ha visto milioni di persone abbandonare di punto in bianco il proprio posto di lavoro, nella speranza di trovarne uno che consentisse di difendere il “work-life balance”, ovvero l’equilibrio tra vita privata e professionale. E poi c’è la questione salariale: stipendi bassi per un costo della vita costantemente al rialzo, soprattutto nella maggiori città del Nord.
In base a queste prospettive che ci continuiamo a trascinare, il rischio di avvitamento verso il basso della crescita, della produttività e della capacità di innovazione appaiono piuttosto inevitabili.
I settori in cui il mismatch è più inquietante
Nel corso dell’anno appena passato, all’appello delle necessità produttive, sono mancati i lavoratori utili a coprire le più urgenti richieste di manodopera. Scendendo nello specifico, le percentuali spaventano ancora di più:
- 58,4% mancanza di collaboratori nell’industria metallurgica;
- 57,6% in quella edile;
- 57,1 % nel comparto legno e mobile.
Ancora più nel dettaglio, le figure più difficili da reperire sono: gli attrezzisti, operai e artigiani del trattamento del legno; gli operai specializzati e addetti alle rifiniture delle costruzioni; i meccanici artigianali, montatori, riparatori, manutentori di macchine e fabbri ferrai costruttori di utensili. E via così, pressappoco per tutte le figure tecniche di quasi ogni reparto.
Attraverso una visione complessiva, ad ogni modo, il settore che sembra soffrirne di più è quello industriale (52,7%), cui segue quello dei servizi (42,1%). La necessità in agricoltura, invece, richiederebbe 80-100 mila lavoratori in più, ma è probabilmente l’unico settore che può auspicare di equilibrare la situazione attraverso i flussi migratori.
Le previsioni in generale, però, non rincuorano: nella migliore delle ipotesi, nel settore della manifattura, si parla di una copertura al massimo prevista nel 45%, ovvero meno della metà.
Come disinnescare il fenomeno del vuoto della forza lavoro?
È imprescindibile insistere sulla formazione: dalle maestranze alla figure professionali più qualificate per dirigere le transizioni digitali e ambientali. Ci dovrebbe essere una maggiore corrispondenza tra lauree e richiesta del mercato, un orientamento più accurato ma, più che altro, dovremmo interrogarci perché, negli anni, l’abbandono degli istituti tecnici e professionali è stato progressivo, laddove le iscrizioni ai licei sono incrementate. L’istruzione tecnica, nonostante lo sconcertante vuoto della forza lavoro, è da decenni rimasta ai margini del dibattito pubblico, cosa che si traduce in “scarso appeal” e scarso adeguamento agli standard di livello europeo, anche tramite idonei investimenti.
Nel frattempo, le aziende caratterizzate da diretta mancanza del personale preparato, devono assolutamente provare a cambiare paradigma, reagendo in qualche modo e in base alle proprie forze, così da trovare qualche forma risolutiva che permetta loro di continuare ad essere competitive nonostante quel tutto che abbiamo analizzato fin qui.
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