Dopo l’approvazione in Senato, lo scorso 7 Agosto 2018 è stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale la Legge n. 96/2018 di conversione del D.L. n. 87/2018 c.d. Decreto Dignità. Tutto ciò, ha apportato rilevanti novità per quanto riguarda la disciplina del contratto di lavoro a tempo determinato e della somministrazione di lavoro.
Tra gli aspetti più importanti della nuova normativa c’è la modifica dell’art. 19 del D.lgs. 81/2015. Attraverso il nuovo art.19, infatti, è stata ridotta la durata complessiva dei contratti di lavoro subordinato a termine da 36 mesi a 24 mesi.
Il contratto a termine può essere liberamente stipulato, cioè senza causale, per una durata massima di 12 mesi.
Può essere apposto un termine superiore, comunque non oltre i 24 mesi, solo in presenza delle seguenti causali:
- Esigenze temporanee ed oggettive, estranee all’ordinaria attività;
- Esigenze di sostituzione di altri lavoratori;
- Esigenze connesse a incrementi temporanei, significativi e non programmabili, dell’attività ordinaria.
Attraverso un’analisi delle condizioni giustificative, si denota una rigidità specifica rispetto alle causali generiche della disciplina previgente, che contemplavano ragioni tecniche, organizzative, produttive o sostitutive (il c. d. “Causalone”). Questa nuova tipicità delle causali pare, però, combinarsi male con l’indeterminatezza delle stesse. Fatte eccezione delle causali di carattere sostitutivo, le altre non solo appaiono di difficile individuazione, ma risultano foriere di potenziale contenzioso.
Cosa succede quando un contratto supera i 24 mesi?
Il superamento del limite massimo di 24 mesi per effetto di un unico contratto (o di una successione di contratti), determina la trasformazione del contratto a termine in contratto a tempo indeterminato dalla data di tale superamento.
Similmente, in caso di stipulazione di un contratto di durata superiore ai 12 mesi in assenza di una delle condizioni giustificatrici previste dall’art.19, il contratto si trasforma in contratto a tempo indeterminato dalla data di superamento del termine di 12 mesi.
Il Decreto dignità non modifica, invece, la precedente disciplina che consente alla contrattazione collettiva la facoltà di derogare alla durata massima dei 24 mesi del contratto a termine. Tuttavia, non viene attribuita alla contrattazione collettiva alcuna possibilità di intervento sul nuovo regime delle causali.
Proroghe e rinnovi:
Viene ridotto il numero massimo di proroghe, che non possono essere superiori a 4 (entro i limiti di durata massima del contratto a tempo determinato). Quindi, a partire dalla quinta deroga, il contratto diverrà a tempo indeterminato.
Il contratto a termine può essere liberamente prorogato solo entro il periodo massimo di 12 mesi. Dopodiché, ma non oltre i 24 mesi, la proroga dovrà essere sostenuta da una delle ragioni previste dall’art.19.
Il rinnovo del contratto a termine, sempre entro il limite massimo dei 24 mesi, è ammissibile solo a fronte delle causali giustificative previste. Pertanto, il rinnovo in assenza di giustificazioni determina la trasformazione del contratto in contratto a tempo indeterminato.
Il Decreto dignità, comunque, conferma l’eccezione delle attività stagionali sia per quanto riguarda la durata massima dei contratti a termine, sia per la disciplina delle proroghe e dei rinnovi. Pertanto, il lavoro stagionale può essere prorogato o rinnovato anche in assenza di causale.
Contributo addizionale:
Il contributo addizionale (pari all’1,4% della retribuzione imponibile ai fini previdenziali), a carico del datore di lavoro e applicato ai contratti di lavoro subordinato non a tempo indeterminato, è aumentato dello 0,5% in occasione di ciascun rinnovo del contratto a termine, anche in somministrazione. Tale disposizione di estende anche ai contratti di lavoro stagionali previsti dalla contrattazione collettiva (non a quelli di fonte legislativa).
Pare, quindi, evidente l’intenzione del legislatore di penalizzare il rinnovo come strumento di prosecuzione del rapporto di lavoro.
Disciplina transitoria:
Il Decreto legislativo 87/2018, anche alla luce della legge di conversione 96/2018, risultava mancante di una disciplina transitoria. La legge di conversione, allora, è intervenuta sulla disciplina della somministrazione di lavoro a termine, nella parte relativa al limite quantitativo complessivo dei contratti a termine, nel rispetto di una proporzione tra lavoratori stabili e lavoratori a termine presenti nell’azienda.
L’immediata applicabilità di tale regime transitorio, tuttavia, rischiava di generare non poche incertezze circa l’applicabilità concreta. Il legislatore, quindi, ha cercato di mitigare l’impatto della norma disponendone l’applicazione a proroghe e rinnovi non successivi al 31/10/2018.
Con l’entrata in vigore della legge si prospetta il seguente quadro normativo:
a) I contratti stipulati prima del 14 luglio 2018 sono regolati dalla disciplina del D. L. 81/2015 (antecedente la riforma del D. L. 87/2018)
- Proroghe e rinnovi effettuati dal 14/7/2018 all’11/8/2018: si applicano le modifiche apportate al decreto-legge n.81/2015 dal decreto-legge n.87/2018 prima della legge di conversione
- Proroghe e rinnovi effettuati dal 12/8/2018 al 31/10/2018: si applica il decreto-legge n.81/2015 prima della riforma del decreto-legge n.87/2018
- Proroghe e rinnovi effettuati dall’1/11/2018: si applica il nuovo regime dettato dalla legge di conversione n.96/2018 al decreto-legge n.87/2018
b) I contratti stipulati dal 14 luglio 2018 sono regolati dalle nuove disposizioni del D. L. 87/2018 convertito con L. n.96/2018.
Terminato il periodo transitorio, dalla data del 1° Novembre 2018, trovano piena attuazione tutte le disposizioni introdotte con la riforma.
Eventuali errori effettuati dai datori di lavoro circa la stipulazione di contratti a termine, proroghe e rinnovi durante il regime normativo transitorio, sono tutt’ora passibili di contenzioso.
Ma quale sarà l’effetto del Decreto dignità sul mercato del lavoro?
Il nuovo Decreto legislativo (Decreto dignità), tra le altre, ha reso più costosi i rinnovi dei contratti a termine dello 0,5%. L’intenzione sarebbe quella di favorire l’uso di contratti stabili, a discapito di quelli a tempo determinato. Ma, stando a quanto scrive l’Aidp (Associazione dei Direttori del Personale), questa condizione difficilmente si realizzerà.
Ciò che l’Associazione prevede, infatti, è un turn over dei lavoratori a termine. Questi, che con le vecchie regole potevano continuare a lavorare, rinnovo dopo rinnovo, fino a 3 anni, con la possibilità, poi, di essere assunti a tempo indeterminato, – con il nuovo decreto legislativo – potranno lavorare fino a 2 anni, per poi essere sostituiti (se non assunti a tempo indeterminato) con altri lavoratori.
Il timore di un turn over dei lavoratori, inoltre, viene ulteriormente aggravato dall’incertezza che le aziende dimostrano quando si tratta di pensare e, più che altro, di agire sul lungo termine. Con tutta probabilità, quindi, i datori di lavoro confermeranno la propria diffidenza nell’assunzione a tempo indeterminato di personale e, conseguentemente, assisteremo a un più rapido rimpiazzo dei dipendenti.
Articolo di Rhodesia Talluri
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