La Dichiarazione universale dei diritti umani
Il 10 dicembre 1948, a Parigi, si riunirono 48 nazioni del mondo per firmare la prima, unica e definitiva Dichiarazione dei Diritti Umani (qui il testo del documento)
Esattamente 70 anni fa, dopo i due conflitti mondiali, una neonata ONU si riunì per stilare una carta di 30 articoli incentrati sulla tutela dei diritti e della dignità di singoli individui. Si tratta del primo documento che elenca universalmente i diritti spettanti all’essere umano, sia come individuo, che come parte di qualsivoglia comunità.
Tale dichiarazione, pur essendo priva di effetti obbligatori per gli Stati, ha ispirato le carte costituzionali di tanti Paesi per il riconoscimento dei diritti inviolabili. Per certi aspetti, si è anche tradotta in norme giuridiche come la proibizione alla riduzione in schiavitù; il divieto di tortura o di trattamenti inumani o degradanti; il diritto di libertà di movimento e di residenza; il diritto di asilo dalle persecuzioni e la sicurezza sociale; diritto al lavoro senza discriminazioni, così come il diritto dei minori alle cure e all’istruzione.
Articolo 23 – I Diritti dei Lavoratori
- Ogni individuo ha diritto al lavoro, alla libera scelta dell’impiego, a giuste e soddisfacenti condizioni di lavoro e alla protezione contro la disoccupazione.
- Ogni individuo, senza discriminazione, ha diritto ad eguale retribuzione per eguale lavoro.
- Ogni individuo che lavora ha diritto ad una remunerazione equa e soddisfacente che assicuri a lui stesso e alla sua famiglia una esistenza conforme alla dignità umana ed integrata, se necessario, da altri mezzi di protezione sociale.
- Ogni individuo ha diritto di fondare dei sindacati e di aderirvi per la difesa dei propri interessi.
Anche secondo la Dichiarazione, insomma, il settore del lavoro non è esente da diritti. Anzi, i punti cardine che riguardano ogni lavoratore, qualsiasi sia la sua cultura, religione o ideologia, trovano spazio all’Articolo 23 in modo chiaro, breve e conciso.
Il Diritto Umano al lavoro, a partire dall’Articolo 23 di cui sopra, trova riscontro in numerose Convenzioni internazionali. Così, come viene maggiormente specificato dagli Articoli 6, 7 e 8 del Patto internazionale sui diritti economici, sociali e culturali del 1966, il Diritto dei Lavoratori, deve costituire oggetto di politiche pubbliche nel quadro di una più ampia programmazione di stato sociale. Deve sussistere “la possibilità uguale per tutti di essere promossi, nel rispettivo lavoro, alla categoria superiore appropriata, senza altra considerazione che non sia quella dell’anzianità di servizio e delle attitudini personali”. La meritocrazia trova qui i parametri conformi a dignità umana, come tali prioritari rispetto a qualsiasi altra tipologia.
Parimenti, viene stigmatizzato, dal vigente Diritto internazionale, il lavoro forzato. A questo proposito, gli Stati sono obbligati ad abolire, vietare e contrastarne qualsiasi forma, come è anche sancito dall’Articolo 5 della Convenzione sulla schiavitù.
Ogni Stato, inoltre, si deve anche adoperare per ridurre al massimo il numero di lavoratori che operano al di fuori dell’economia formale. Diviene così obbligatoria, da parte dei datori di lavoro, la dichiarazione dei nomi dei propri dipendenti in maniera tale da rendere possibile la garanzia dei loro diritti.
Sempre soggetta a tutela statale, vi è anche la proibizione del lavoro da parte dei minori di sedici anni. Costoro, così come qualsiasi altro lavoratore, hanno il diritto di operare in contesti privi di discriminazione, attraverso l’assicurazione di pari opportunità e uguaglianza. Il Diritto al Lavoro, infatti, è un diritto fondamentale ed è, allo stesso tempo, diritto alla piena occupazione e diritto allo stato sociale. Infine, come sancito al quarto punto dell’Articolo 23, il diritto umano al lavoro è fortemente collegato ai cosiddetti diritti sindacali, cioè alla possibilità di fondare sindacati o di potervi aderire in difesa dei propri interessi.
Insomma, se “L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro”, allora è bene che quello stesso lavoro si dimostri dignitoso e che i lavoratori siano sempre tutelati e rispettati in quanto individui appartenenti ad una collettività, a prescindere da cultura, religione o ideologia.
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