A distanza di nemmeno due mesi dal crollo del cantiere Esselunga di Firenze, ecco un’altra tragedia che va a sommarsi agli incidenti sul lavoro: l’esplosione della centrale di Suviana. Trattare fatti di cronaca non è facile: si va pur sempre a parlare di persone, vive o morte e, in qualche modo, ai loro parenti. Occorrono una delicatezza e un distacco certamente non facili. Ma non parlarne sarebbe ancora più dannoso. Così, senza nessuna incriminazione o speculazione sulla sofferenza, vorremo meramente soffermarci a parlare di fatti, di statistiche e possibili soluzioni utili a una decrescita sostanziale di questa tipologia di incidenti.
Stop al dumping salariale nei subappalti e patente a punti
Dopo l’esplosione nella centrale di Suviana, il cui crollo ha coinvolto almeno 12 tecnici di ditte esterne che lavoravano a adeguamenti della struttura, – causando 7 morti – il governo si è trovato a confrontarsi con i sindacati e a riscrivere diversi commi degli articoli inseriti nel decreto Pnrr. Si è così arrivati allo stop al dumping salariale nei subappalti e a modificare la patente a crediti per le imprese. Questa ultima modifica partirà dal prossimo ottobre e prevede una rete di penalizzazioni per le imprese in cui si registrano incidenti gravi.
Per ora, dall’obbligo di essere in possesso della patente, potranno essere escluse le sole imprese che presentano un certificato Soa, cioè l’attestazione che consente alle aziende di partecipare alle gare pubbliche, almeno di terzo livello. Guardando al futuro, il meccanismo potrebbe arrivare a interessare anche altri settori, oltre a quello edile, tenendo conto delle caratteristiche di ognuno di questi.
Scioperi e confronto con i sindacati rispetto agli incidenti sul lavoro
Dal confronto coi sindacati avvenuto nei giorni scorsi, inoltre, si è arrivati alla parità di trattamento e diritti per i lavoratori dei subappalti. La novità passa dal cambio di termini. Non si parla più di contratti “più applicati”, ma di “contratto collettivo nazionale e territoriale stipulato dalle associazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, applicato nel settore e per la zona strettamente connessi con l’attività oggetto dell’appalto e del subappalto”.
Non figura, però, alcun esplicito divieto riguardo ai subappalti a cascata, cioè della possibilità che il subappaltatore originario, anziché eseguire direttamente il lavoro, trasferisca parte o l’intera responsabilità del lavoro a un altro soggetto.
Invece, per il segretario della Uil Emilia-Romagna, Marcello Borghetti: “serve aumentare il numero degli ispettori, dei controlli e delle sanzioni e va introdotto il reato di omicidio sul lavoro”.
Secondo il ministro degli esteri, Antonio Tajani, “dobbiamo continuare a lavorare sulla sicurezza per il lavoro con norme non ideologiche. Per esempio, possiamo pensare di dare incentivi alle imprese che adottano politiche sulla sicurezza all’avanguardia”.
Gli incidenti sul lavoro in Italia ci sono. Ma cerchiamo di spiegare e capire meglio il problema
Ci troviamo di fronte a un fatto di cronaca ennesimo ed enorme. Non è facile parlarne in modo discreto, ma giusto e consapevole. Non solo in considerazione delle grosse implicazioni politiche, ma anche (e soprattutto) per quelle umane e familiari. Ma certe osservazioni, che possono allargare il campo della conoscenza dei fatti, – evitando di generare titoli di articoli che si appoggiano sul niente – è utile farle.
Secondo le più recenti rivelazioni, l’Italia non è messa peggio di altri paesi dell’Unione Europea per quel che concerne gli incidenti sul lavoro. Secondo Franco D’Amico (responsabile statistico dell’Anmil): “Ogni morto è una vergogna per una paese civile, ma i dati sono tendenzialmente in calo a livello nazionale e europeo”.
Non generiamo fraintesi: le morti sul lavoro sono ancora una realtà nella nostra nazione. Una media stabile che conta anche per l’ultimo anno quasi tre decessi al giorno. Ed è grave. Nonostante questo, e a dispetto di quello che si crede (o che ci inducono a far credere) l’Italia risulta essere nella media europea rispetto ai morti sul lavoro. È successo che durante la pandemia covid-19, nel nostro paese, è stato deciso di conteggiare come “morti sul lavoro” anche coloro che sono deceduti dopo essere stati contagiati dal virus sul posto di lavoro. Cosa che quasi tutti gli altri paesi europei non hanno fatto. Per questo motivo, è importante guardare la media e i fatti, piuttosto che di badare alle “chiacchiere”: quanti morti su centomila abitanti? E qui siamo perfettamente nella media. Non solo. Come ci fa presente sempre Franco D’Amico, in attesa dei nuovi dati ufficiali, abbiamo ragione di pensare che i numeri stiano calando.
Prima di chiudere l’articolo, vogliamo offrirvi un altro punto di vista che potrebbe mettere in discussione buona parte delle credenze sviluppate fino a questo momento, forse eco della più parte delle testate nazionali. E se vi dicessimo che in Italia, da vent’anni, si tiene maggiormente sott’occhio il quadro delle morti sul lavoro, rispetto a molti altri paesi europei?
“Negli altri paesi non viene data la stessa importanza che gli diamo noi. Nella civilissima Francia, ma anche in Germania non esistono apparati statistici come il nostro. Basti pensare che in altri paesi come quelli del Nord Europa non dispone neanche di un sistema assicurativo specifico. Lo stesso Eurostat nella sua pubblicazione dice che i paesi del nord Europa presentano dati con livelli di sotto-dichiarazione compresi fra il 30% e il 40% del totale”.
Nell’intervista ad Hoffpost Italia, D’Amico continua con queste parole:
“I 491 morti dell’Italia del 2019 e lo 0,98 come tasso standardizzato sono pressoché costanti per tutti gli anni precedenti. Quindi – dice D’Amico – la fandonia che in Italia è prima in Europa per numero di morti sul lavoro è la solita autoflagellazione dell’italiano medio. Questo non toglie che andrebbe fatto molto di più anche sugli interventi normativi perché anche un morto sul lavoro è una vergogna per un paese civile. Si dovrebbero implementare e applicare tutti i decreti attuativi che ad esempio non sono stati fatti per adeguarsi al decreto 81 del 2008 sulla salute e la sicurezza sul lavoro. Ma ripeto l’Italia non è messa peggio di altri Paesi”.
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